I canti di Dante

Ho ascoltato sul primo canale Rai la spiegazione dei canti della Divina Commedia da parte di Benigni, ovvero quello del Conte Ugolino, che fu rinchiuso in una torre insieme ai quattro figli.

Mi ha colpito il finale del canto, quando il Conte dice: “e più poté del dolor il digiuno”. Il verso, come dice Benigni, è simile a quello di Antonio e Francesca, che recita: “e più non andammo avanti a leggere”. Questi versi lasciano al lettore, il compito di immaginare il significato del verso, in quanto ognuno può interpretarli diversamente, in almeno due modi.

Per quanto riguarda il caso specifico del Conte Ugolino, leggendo questo verso finale il lettore può immaginare che la fame era riuscita là dove il dolore aveva fallito, uccidendo il Conte. Certo, questa sarebbe la conclusione più ovvia, ma avendo letto tutto il canto, che propone chiari riferimenti e analogie col mangiare, come quando il Conte si morde le mani per la disperazione, o la descrizione del sogno da lui fatto, nel quale le cagne inseguivano e mordevano i lupi, potrebbe indurre a pensare che il Conte abbia orrendamente divorato i suoi figli morti, in preda alla pazzia.

Benigni racconta tra l’altro l’episodio del ritrovamento dei cadaveri dei prigionieri, che erano stati mangiucchiati come da topi, tanto che il nome della torre sarà cambiato.

Io immagino che il ripetersi di simili versi sia da attribuire al senso profondo della Divina Commedia, nella quale Dante voleva credo descrivere la natura umana, che può essere ambigua; infatti proprio la possibilità di avere due interpretazioni di questi versi dà all’uomo la possibilità di capire un po’ meglio se stesso. Anche chi crede di essere giusto e immagina un finale orrendo, può nascondere una natura maligna nascosta.

Ognuno infatti interpreta la vita secondo il suo carattere, e così fa coi versi danteschi presi in esame.

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